
Studiare con presenza
- Sara Costa
- 12 ore fa
- Tempo di lettura: 4 min
APPUNTO 5 — Mindfulness per musicisti
Studiare con presenza
🎹 Una stanza, un pianoforte e il tempo di ascoltarsi
C’è un momento, nello studio, che precede ogni suono: le mani raggiungono la tastiera, la pagina è aperta, la stanza è silenziosa e tu sei lì, sospeso in quell’istante che non appartiene ancora né al lavoro né alla musica. È un tempo piccolo, quasi impercettibile, ma racchiude già moltissimo: il desiderio di suonare, la fretta di migliorare, la memoria della fatica, e una parte di te che vorrebbe cominciare con più calma, più spazio, più fiducia.
È proprio da lì che nasce il modo in cui entri nella musica.
A volte senza accorgertene, inizi a studiare con la mente già avanti, proiettata sulle battute difficili, sull’esame da preparare, sul concerto che si avvicina. Una parte corre, l’altra aspetta, e spesso lo strumento diventa il luogo in cui queste due velocità si incontrano, con più tensione del necessario. È un movimento sottile, invisibile dall’esterno, ma riconoscibilissimo dentro: una forma di impazienza che non giudica, non parla, ma invade.
Col tempo ho imparato che questo è uno dei nodi più profondi del lavoro musicale: arrivare allo studio con l’urgenza di “risolvere”, quando in realtà ciò che serve è innanzitutto ascoltare. Non ascoltare il brano, ma ascoltare come ci stiamo entrando.
E la differenza tra questi due modi di cominciare cambia molto più di quanto immaginiamo.
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🧠 Quando la mente corre davanti alla musica
Non è la voce che giudica — quella è un’altra storia, e l’abbiamo incontrata nell’Appunto precedente. Qui è qualcosa di diverso: è la mente che va più veloce delle mani, che vuole arrivare dall’altra parte del passaggio prima ancora di attraversarlo. È la sensazione di dover “mettere a posto” tutto subito, di dover dimostrare a te stesso che oggi andrà meglio, che sei capace, che puoi farcela.
Questo tipo di fretta non è aggressiva né cattiva. È, paradossalmente, un tentativo di protezione: la mente vuole aiutarti, ma nel voler controllare, soffoca la possibilità di scoprire come funziona il gesto oggi, in questo momento, con questa energia. E quando entri nello studio con la volontà stretta, la musica non trova lo spazio in cui appoggiarsi.
La presenza, invece, non è una tecnica e non è nemmeno un’abilità da imparare.
È un modo di stare, una qualità dello sguardo e del corpo, una relazione più morbida con ciò che accade mentre accade. Non ti rende perfetto, non elimina le difficoltà, ma ti permette di attraversarle senza irrigidirti. È come se aprisse un varco tra il desiderio di migliorare e la possibilità di farlo davvero.
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🧘♀️ La presenza comincia prima del suono
Quasi sempre, la presenza arriva in gesti semplicissimi: nel modo in cui le dita si appoggiano ai tasti prima di premere, nel respiro che torna naturale, nello spazio tra due tentativi. È qui che lo studio prende una direzione diversa.
Non diventa più lento: diventa più sensibile.
Non diventa più indulgente: diventa più lucido.
Non diventa meno rigoroso: diventa più intelligente.
Ci sono giorni in cui basta un attimo di attenzione morbida per cambiare l’intera qualità del lavoro. La mano, improvvisamente, ritrova un equilibrio dimenticato; la spalla si ammorbidisce senza essere “corretta”; un passaggio smette di sembrarti ostile e comincia a svelarsi. Nessuno ti ha spiegato cosa fare: è il gesto che trova un suo modo di funzionare, e tu lo segui, invece di precederlo.
Affidarsi non significa lasciare andare tutto, né “suonare zen”: significa togliere dalla strada ciò che intralcia — rigidità, giudizio, aspettative — e vedere cosa rimane.
E spesso rimane molto di più di quanto credevi.
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🎼 E quando si insegna?
Portare questa qualità all’interno della didattica non significa proporre tecniche o parlare apertamente di mindfulness.
Significa, piuttosto, costruire un ambiente in cui l’allievo possa sentire se stesso mentre studia, e non solo ascoltare ciò che gli viene detto. Molti ragazzi arrivano al pianoforte con la mente già piena di giudizi e di richieste interiori, e il rischio è che il lavoro tecnico rinforzi la tensione invece di alleggerirla.
Insegnare in modo presente vuol dire lasciare che nella lezione ci sia spazio per osservare insieme come si approccia un passaggio, come si entra in un brano, cosa accade al gesto quando qualcosa non riesce. Non è un invito alla lentezza, ma alla chiarezza.
Non è un metodo alternativo, ma un modo diverso di prendersi cura dell’apprendimento.
Credo che questo sia uno dei doni più preziosi che possiamo offrire ai nostri studenti: non solo indicazioni tecniche preziose, ma un modo di stare nella musica che rimarrà anche quando non saremo più accanto a loro.
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🙏🏻 Con questo Appunto si chiude una piccola serie di riflessioni che desideravo condividere da tempo.
Nascono da un interesse che mi accompagna da anni e dal desiderio di guardare allo studio — e all’insegnamento — in modo più ampio e consapevole.
Spero che abbiano aperto uno spazio quieto in cui osservare il gesto e l’ascolto da una prospettiva diversa.
Da qui continueremo a esplorare.
📚 Bibliografia:
• Jon Kabat-Zinn Ovunque tu vada, ci sei già
• Thich Nhat Hanh Il miracolo della presenza mentale
A presto,
Sara
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